A volte mi capita di chiedermi quale sia il significato di una relazione. Ci sono quelle che offrono sensazioni nuove ed esotiche, quelle che sono vecchie e familiari, quelle che sollevano un sacco di domande, quelle che ti portano in posti inaspettati, quelle che ti portano lontano dal punto di partenza e quelle che ti riportano indietro, ma la relazione più importante, difficile ed emozionante è quella che si ha con se stessi.
Relazione con se stessi che non tutti sono in grado di sostenere al meglio, troppo spesso ci si lascia sopraffare dal vortice delle emozioni, senza più pensare a cosa sia giusto o meno fare, senza mantenere il giusto distacco e la lucidità mentale.
Abbiamo sempre più spesso a che fare con storie difficili: e con ciò intendo le relazioni con tutte le loro connessioni col passato, col presente e anche col futuro.
Tutti abbiamo avuto a che fare con storie che tornano dal passato, ma in quale misura queste storie sono in grado di distruggere i nostri sogni per il futuro? Si può raggiungere il futuro se il passato è ancora così presente?
È giusto combattere i “fantasmi del passato”? Cosa rappresentano ancora? Sono davvero passati o sono sempre e più che mai presenti nelle nostre vite e continuano a influenzarle? E, soprattutto, può una persona in carne ed ossa combattere con questi fottutissimi fantasmi? Tutte domande dal poco senso pratico, ma dal grande tormento mentale, soprattutto quando c’è di mezzo l’attesa, che diventa a mano a mano sempre più snervante e porta a un incrocio: menefreghiso da un lato, rassegnazione dall’altro e tormento dall’altro ancora.
Per come la vedo io, i “fantasmi del passato” andrebbero affrontati, sconfitti e chiusi nell’armadio, eliminando anche le tracce dell’armadio, ma è sempre possibile riuscire a farlo? E in che tempi? Mi chiedo se ne valga davvero la pena di attendere, di “portare pazienza”…cosa comporta l’attesa? Se non un’inutile perdita di tempo! Il tormento non lo contemplo come soluzione, la rassegnazione neanche (è una sconfitta), l’opzione migliore resta il menefreghismo, l’indifferenza…il solito “Pazienza!”.
Perciò giunti quasi a questo incrocio, non ci resta che rallentare, scalare la marcia, guardare bene e prendere la via del “Pazienza, sei tu che ci smeni!”.